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Le banche italiane e il referendum costituzionale

In questi giorni si è tornati a parlare di banche e connessione con il prossimo referendum. In particolare, 8 istituti di credito sono oggetto della questione. Infatti, secondo un articolo del Financial Times, in caso di vittoria del no in referendum, questi istituti bancari sarebbero costretti a raccogliere ingenti somme di denaro nel giro di pochi mesi, a causa di forti debiti contratti nel tempo.

L’istituto di credito con maggiori difficoltà è il Monte dei Paschi. Le altre sono: Unicredit, Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Carige, Banca Etruria, CariChieti, Banca delle Marche e CariFerrara.

Le banche e il referendum: una particolare connessione

Il problema di una vittoria del no al referendum non riguarda strettamente i contenuti della riforma, ma gli effetti che avrà sulla stabilità del governo in caso di sconfitta di Renzi. L’opposizione (da Salvini a Grillo) ha più volte indicato le dimissioni del capo del governo come la naturale conseguenza dell’eventuale vittoria del “no”. Lo stesso Renzi, salvo rimangiarsi la parola negli ultimi mesi, ha dichiarato che si sarebbe dimesso in caso di vittoria del “no”.

Al di là delle dichiarazioni, l’esposizione politica e mediatica di Renzi a favore del “sì”, addirittura contro parte del suo partito, renderebbe molto complicato continuare il ruolo di capo del governo in caso di schiacciante vittoria del “no”.

Ma quindi? Non abbiamo ancora capito cosa c’entrano le banche…

La mossa di Renzi di “personalizzare” il referendum ha aperto il campo alla speculazione finanziaria, che nei prossimi giorni scommetterà sull’esito del referendum, collegandolo al destino del governo italiano.

Se dovesse vincere il no e Renzi dovesse dimettersi da capo del governo, le trattative per mettere in sicurezza le banche in difficoltà potrebbero complicarsi. Quindi aumenterebbe la possibilità che alcuni istituti non riescano a salvarsi in tempo.

Infatti, a causa della crisi, il sistema italiano ha accumulato circa 360 miliardi di crediti deteriorati, cioè prestiti che le banche hanno difficoltà a farsi restituire a causa di una crisi economica, paradossalmente generata dagli stessi istituti finanziari.

Monte dei Paschi è la banca che si trova nella situazione più preoccupante. In una comunicazione agli azionisti e agli obbligazionisti dell’istituto, i manager hanno esplicitamente legato il piano di salvataggio della banca all’esito del referendum. Se l’operazione di salvataggio di MPS dovesse fallire, potrebbe essere a rischio anche quella di Unicredit. Infatti Unicredit si trova in una situazione molto meno preoccupante, ma ha comunque bisogno di raccogliere circa 13 miliardi di euro nei prossimi mesi. Il coinvolgimento di Unicredit nella crisi è considerato dagli analisti lo scenario peggiore, non il più probabile.

La cosa più inquietante del problema MPS è che i problemi dell’istituto sono stati causati dalla mala gestione e da connivenze politiche con lo stesso partito del premier, il PD.

Le responsabilità di questa azione

Molti esperti e giornalisti attribuiscono al presidente del Consiglio Matteo Renzi buona parte della responsabilità per questa situazione. Una fonte che ha lavorato all’aumento di capitale di Unicredit ha detto: “Renzi non ha compreso il rischio a cui esponeva il suo paese collegando l’esito del referendum al futuro del suo governo”. Secondo un banchiere consultato dal Financial Times, comunque, anche una vittoria dei Sì non assicurerebbe un successo delle operazioni di ricapitalizzazione.

Un commentatore della Repubblica ha scritto a riguardo: “La vittoria del Sì al referendum sarebbe dunque positiva dal punto di vista della stabilità finanziaria. Si tratta, piuttosto, della conseguenza degli enormi rischi di cui si è voluta caricare questa tornata referendaria e che non scomparirebbero, pure con un voto favorevole alla riforma”.

L’errore del commentatore di Repubblica e di molti altri sta nel legare la questione al sì o al no. Indipendentemente dal risultato, le mosse politiche volte a “personalizzare” il referendum hanno aperto la strada alla speculazione finanziaria, che alla fine danneggia sempre i cittadini italiani. I titoli delle banche negli ultimi giorni sono saliti e scesi continuamente, sotto l’effetto di pura speculazione. Lo spread sui titoli di stato italiano invece è sempre salito, per effetto dell’incertezza di questi giorni.

Il vero problema non sono le banche

Purtroppo la questione che lega l’esito del referendum alle banche ha una radice più profonda. Ovvero quella di un sistema bancario che funziona male, perché gestito in maniera poco corretta e che ha accumulato debiti nel tempo.

Ogni tentativo di sanare il sistema bancario è destinato a fallire se non si prendono misure concrete contro la crisi finanziaria e non si riprende ad investire nell’economia reale e nelle piccole imprese.


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