Derivati New Concept Advisory

Derivati: una storia travagliata

I derivati: cosa sono e la storia italiana. Ne parliamo in questo articolo, fino ad arrivare ai problemi odierni del nostro Paese.

Cosa sono e quali sono i più diffusi

I contratti derivati sono strumenti che impongono alle parti che li sottoscrivono di scambiarsi flussi finanziari, a condizioni e scadenze predeterminate. Prendono il nome dal fatto che il loro valore “deriva” dalle quotazioni di mercato di alcuni fattori a cui sono legati, come i cambi di una valuta o i tassi d’interesse.

I più presenti sono i cosiddetti “Interest rate swap” (o Irs), che significa “scambio di tassi d’interesse”. In genere sono del tipo “tasso fisso” contro “tasso variabile”. Un esempio può essere questo: dato un valore di un miliardo di euro, detto nominale, prevedono che una volta l’anno il Tesoro verserà alla banca il 4 per cento di un miliardo (il “tasso fisso”), mentre la banca verserà al Tesoro il tasso Euribor applicato a un miliardo (il “variabile”). Se l’Euribor sarà sopra il 4 per cento, ci guadagnerà il Tesoro; se sarà sotto, la banca.

Come si intuisce dall’esempio, i derivati possono muovere enormi quantità di denaro senza investimenti iniziali. Ci si può guadagnare molto, se i mercati si muovono nelle condizioni a noi favorevoli. Allo stesso modo si possono perdere cifre colossali.

La storia italiana

Il governo italiano fa ricorso ai derivati negli anni Ottanta, per proteggersi dalle perdite potenziali sui titoli di Stato. Titoli emessi in valuta estera. I primi sono del tipo “cross currency swap”, legati dunque al cambio della lira (e poi dell’euro).

Il 10 novembre 1995 il premier Lamberto Dini firmò un decreto con regole più precise per la sottoscrizione dei derivati, ampliando il tipo di quelli utilizzabili. A metà degli anni Novanta gli enti locali iniziano a indebitarsi sempre più e, nel 1996, il governo di Romano Prodi li obbliga a coprirsi con un derivato dal rischio cambio, nel caso emettano prestiti in valuta. La svolta arriva però dal 2001 con Giulio Tremonti ministro dell’Economia. Regioni, Province e Comuni sottoscrivono un numero crescente di derivati, così come fa lo Stato.

Come ha spiegato in parlamento Maria Cannata, dirigente del Tesoro, tra il 2000 e il 2005 attraverso i derivati il governo aveva perseguito il duplice obiettivo di contenere il fabbisogno di cassa e di allungare la vita del debito. Per ottenere questi obiettivi, oltre agli “Interest rate swap” vengono utilizzati anche dei contratti più complessi, chiamati “swaption”. Si tratta di opzioni che le banche comprano versando al Tesoro una certa cifra, ottenendo la possibilità di entrare in seguito un Irs a condizioni prefissate.

Nel 2006, con l’arrivo di Tommaso Padoa-Schioppa al ministero dell’Economia, viene ristretta la possibilità degli enti locali di fare nuovi derivati.

L’allarme derivati

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L’allarme derivati scoppia all’inizio del 2012, quando il Tesoro è costretto a chiudere una serie di contratti fatti con Morgan Stanley, versando alla banca 3,1 miliardi di euro in due tranche. L’operazione nasce da un accordo quadro del gennaio 1994 che regola questo genere di strumenti fra il Tesoro e l’istituto. Nell’accordo è presente una clausola unilaterale che permette alla banca di chiudere in anticipo tutti i contratti sottostanti, nel momento in cui le condizioni di mercato fanno prevedere incassi futuri favorevoli all’istituto superiori a 50 milioni di dollari.

Negli anni successivi emerge un dato che suscita preoccupazioni ulteriori. Il valore di mercato dei derivati del Tesoro in essere peggiora sempre più, raggiungendo alla fine del 2014 un picco di 42 miliardi.

Il Tesoro e le altre istituzioni finora si sono sempre rifiutati di mostrare i contratti dei derivati. Molti giornalisti che hanno fatto richiesta sono stati respinti. Ci hanno provato anche alcuni parlamentari del Movimento 5 Stelle, la cui richiesta è stata respinta.

L’anno scorso la Corte dei Conti del Lazio ha fatto sapere di aver avviato un’indagine sui derivati sottoscritti fra il Tesoro e Morgan Stanley, costati alle casse pubbliche 3,1 miliardi di euro. In un documento pubblico ha ipotizzato un danno a carico dello Stato pari a 3,8 miliardi. Danno che tiene conto anche dei costi sostenuti per reperire la somma miliardaria versata nel 2012 alla banca americana.

Definizioni e chiarimenti utili

Questo articolo è molto utile, perché aiuta a comprendere cosa sono i derivati e qual’è la loro storia in Italia.

Una storia travagliata, piena di molteplici avversità e che, purtroppo, attualmente nasconde molti segreti.


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